Pietro Talamo

“La memoria storica”

 

Incontrare Titino Talamo, già impegnato nel mondo della scuola come dirigente, poi come sindacalista e attualmente  consigliere nazionale del CNEL, nel suo paese di origine, è un come attendere il ritorno a casa del proprio figlio, l’arrivo di una persona cara.

 

Il ricongiungimento genera  sempre qualcosa che intenerisce l’animo e conferisce il dono della serenità, dell’appagamento spirituale, della soddisfazione interiore per uno stato che è orgoglio delle radici.

 

Anima e corpo non possono disgiungersi se si vuole conseguire quella espressione di soavità, propria dello stare bene insieme e con se stessi; si può stare bene con se stessi quando si riesce a decodificare il passato e comprendere il presente: soggettivo od oggettivo.

 

“Chissà di chi siamo figli! Chissà su quale tomba dobbiamo pregare per capire il ritmo del nostro pensiero e il gesto del nostro corpo!”

 

Appare, così, bello ritrovarsi in questo suggestivo paese, frutto della virtù di uomini che possono essere il tramite tra il passato e il presente, la storia e l’attualità.

 

Molti sono i personaggi che hanno arricchito e  continuano ad arricchire il tesoro spirituale, culturale e artistico di questo paese.

 

Beato colui che ha un paese da raccontare, e qui, questa sera, abbiamo un uomo che è approdato all’espressione artistica per vocazione, per spinta interiore, credo anche per quel profondo orgoglio delle radici, curate per germogliare nuovi ripolloni di cultura, nuovi riferimenti dell’appartenenza, espressione diversa della civiltà.

 

“Prima delle regole dell’uomo, ci sono le regole della natura, quelle eterne, inalterabili; quelle che educano e formano la persona dandole l’impronta del tempo: “I segni della memoria”.

 

Dove c’è l’uomo c’è la vita! Talamo è talmente legato alla sua terra che sembra esserne parte integrante, giustamente convinto che la sua dimensione artistica può apportare nuovi punti di vista, nuovi segni della memoria.

 

Già, la memoria! Non potrebbe esistere storia senza la memoria; non potrebbe esistere la discussione senza la memoria; la memoria è il punto di incontro di ogni esperienza, è la grande opportunità che l’uomo ha per riflettersi, per ricordarsi, per rinnovarsi, per tramandarsi.

 

Ho visto Titino passeggiare per le vie del paese con una matita ed un pezzo di carta; prendeva appuntii per far riaffiorare i segni del passato che avrebbero poi alimentato la sua memoria artistica. Il risultato è che la sua memoria ha recuperato e riportato al presente i segni, alcuni dei segni, del nostro passato comune.

 

Delicata arte quella dell’acquerello, (un si avvicina allo sviluppo fotografico del passato) capace di far riaffiorare le impronte del passato  dall’acqua.

 

“Vedi, Angelo, questa è via Capece, prima che il graffiato coprisse il lavoro artistico manuale dei lavoratori della pietra e del tufo.”... “e queste sono le vecchie cannizze!” ... e ancora “le zuccate”.

 

Ecco il segno della memoria: le cannizze: le case dei poveri che vivevano attorno al castello, rimaste in piedi fino a poco più di trenta anni fa; e le facciate delle case, le prime case moderne, comode. Titino ha recuperato non solo i suoi ricordi, ma la memoria storica che continua con via dei Giardini della Corte. Davanti alle case i traini e le carrozze: i primi mezzi dell’autonomia dell’uomo.

 

Le “zuccate”,  anche se di difficile utilizzo, erano vicine al paese e quindi dovevano essere riportare all’uso dell’uomo. Oggi sono parte del centro storico e contenitrici di palazzi moderni e di abitazioni monofamiliari.

 

Questa memoria delle cose, si trasferisce alla memoria delle persone. E’ molto suggestivo quell’incontro di adulti vicino ad un bar qualsiasi, ad una trattoria qualsiasi per giocare a tressette. Qualche volta era un incontro abituale, qualche altra volta una occasione per riposarsi dalle fatiche dei lavori nei campi. In molti casi il luogo in cui venivano raccontati fatti ed avvenimenti del paese. Domina, sempre maestoso, l’albero d’olivo: oggi recuperato per ornare ville sontuose dei nuovi ricchi, ma anche il frutteto, il vigneto e, poi, il più moderno tendone di uva bianca per l’esportazione. Come si esaltavano i contadini nel vedere schierati i grappoloni dorati che avrebbero preso la via dell’estero per ornare le tavole dei commensali d’Europa. Si sentivano  tutti dei potenziali esportatori di prodotti ottenuti con la fatica delle loro braccia.

 

Se qualche volta arrivava la grandine, erano guai per tutto l’anno.

 

Già, la grandine: il timore di ognuno che si rifugiava nella fede, nella speranza. Il riferimento a Sant’Emidio è un riferimento giubilare. E’ bella quell’opera di Talamo che si evidenzia particolarmente per ritrovare l’eterno sentimento di fede dei leporanesi: un sentimento di fede che è passato attraverso diversi Santi protettori, tutti conservati nella venerazione, ma che hanno in comune profonde similitudini: la ricerca della salvezza e la protezione dai tormenti con la Vergine del Carmelo;  la protezione dal pericolo dei giovani e dei contadini con San Nicola; la protezione dalle avversità atmosferiche con Sant’Emidio.

 

Sembra poter sottolineare che c’è un sottile filo rosso che lega la miracolistica dei Santi alla pacata, serena, buona condotta di vita dei leporanesi in una fede davvero esemplare di speranza e di carità.

 

Riferirsi alla santità, per ricercare modelli e riferimenti, è non soltanto un motivo di intensa fede religiosa, verità inalienabile per ogni fedele leporanese, ma una ricerca continua di bontà e di serenità interiore.

 

La natura è sempre stata ricca con i leporanesi: ce lo dimostrano le nature morte di Titino che assumono un aspetto di delicatezza e di piacevole sensazione.

 

I colori, per Titino Talamo, sono il mezzo migliore per vestire la natura. C’è un invito continuo al riscatto, alla valorizzazione di una civiltà a volte sopita, ma sempre orgogliosa.

 

Questa personale è in grado di suggestionare il fruitore e di sensibilizzarlo all’arte. Le opere di Talamo esprimono la forza dell’attrazione e contengono la capacità di farsi osservare; contengono fascini ed attrazioni che creano una atmosfera pura, grazie alle quali sembra sia possibile essere liberati alla spensieratezza ed alla godibilità per ritrovare tutti un di se stessi.

 

Non occorre andare a scrutare nell’inconscio per capire l’artista, presente con la sua visione impressionistica delle cose che svolge un meraviglioso modo di interpretare l’ambiente che lo ha visto nascere, vivere la sua esistenza nella dimensione del riferimento.

 

L’arte di Talamo è di per sé esplicativa, significante, espositiva sia psicologicamente, che linguisticamente per essere un  continuo racconto in cui è narrata la storia del suo paese natio Leporano.

 

Messe insieme le sue opere rappresentano un canto alla sua terra, un omaggio alla natura, un forte richiamo al rispetto ed all’amore per il proprio ambiente in una dimensione che sa anche di surrealismo. Singolarmente, ogni acquerello ed ogni olio, rappresentano uno spicchio della vita inanimata che è vivificata dall’ispirazione e dalla  sua sensibilità. I lavori di Talamo sono immagini poetiche di composizioni sentite, spontanee, passionali in cui i colori e la luminosità si fondono per tradursi in immagine interiore e di riflessione, di considerazione e di rinnovamento dell’orgoglio delle proprie radici.

 

Provate a fermare l’immagine su un’opera qualsiasi: vi sentirete coautori dei segni, i segni forti della memoria di Titino Talamo e di noi tutti.

 

Leporano sta vivendo appieno un periodo di intensa espressione valoriale, sia in termini di ambiente che di individualità e di religione.

 

Speriamo che questo segnale non sia oscurato, offuscato, annullato.

 

Per questo, ma non soltanto, ci inchiniamo in segno di ringraziamento a Dio, non prima di aver ringraziato Titino Talamo per averci partecipato la sua Leporano.